Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/216

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LIBRO QUARTO 209

fornì. Così Tiberio udì sue vergogne, con tale scandalezzo, che gridò volerle purgare allora in giudizio: e a pena gli amici pregando, tutti adulando, l’acquetarono. Vozieno ebbe pena di lesa maestà. E sentendo Cesare dirsi troppo crudo nel punire, più s’accanì; e avendo Lentulo Getulico, disegnato consolo, dannato Aquilia adultera con Vario Ligure, nella legge Giulia, nell’esilio la dannò, e rase del senato Apidio Merula, per giuramento non dato ad Augusto.

XLIII. Udirsi gli ambasciadori de’ Lacedemoni e de’ Messenj, che litigavano il tempio di Diana Linnate1, i Lacedemoni lo provavano per storici e poeti, fatto da’ lor maggiori nella lor terra; ma tolto in guerra da Filippo di Macedonia; e per sentenze di C. Cesare e di Marcantonio riavuto. In contrario, i Messenj mostraron carta antica del Peloponneso, diviso tra i discesi d’Ercole, come il tenitorio d’Elea, dove il tempio era, toccò a Pentilo re loro, e ce n’erano memorie in marmi e bronzi antichi. Volendo testimoni di storie e versi, a loro n’avanzarono; averlo Filippo, non di potenza, ma di ragione, aggiudicato. Antigono re, e Mummio generale confermato; così i Milesi per pubblico compromesso lodato: in ultimo Atidio Gemino, pretore in Acaia decretato. Giudicossi in favore de’ Messenj. Chiedero i Segestani che ’l tempio di Venere nel monte Elice, per antichità rovinato, si rassettasse, ricordando le sue note origini; e Tiberio ne prese lieto (come di quel sangue2) la cura. A’ preghi de’ Marsiliesi fu approvato che Volcazio Mosco, di Roma bandito e

  1. O Linnete: vedi Lipsio, non Limenetide.
  2. I Segeslani si dicevano discesi da Troia come Romani.