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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/237

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230 DEGLI ANNALI

nio si fuggito nella fortezza di Flevo; guardando nostra gente, non poca, quelle marine.

LXXIII. A tale avviso L. Apronio, vicepretore della Germania bassa, chiamò dall’alta più compagnie di legioni: un fiore di fanti e cavalli d’aiuto: e l’uno e l’altro esercito per lo Reno messe in Frisia. Lasciato quell’assedio, i ribelli andaro a difendere casa loro. Sopra i primi stagni Apronio fece argini e ponti per passare gli armati; e trovato il guado, mandò la banda de’ cavalli Caninefati, e tutta la fanteria germana, che serviva noi, alle spalle dei nimici: i quali già ordinati, ruppero que’ cavalli, e li nostrali mandati a soccorrerli. Allora vi spinse tre coorti leggiere, e poi due: indi a poco più cavalli, che tutti insieme avrien vinto; ma i pochi per volta non giovavano ai fuggenti, che se ne li traportavano. Il resto degli aiuti ebbe Cetego Labeone, Legato della legion quinta; il quale vedutigli a mal termine, e dubitando, mandò a chiedere aiuto di legioni. Avventansi primieri i Quintani: e con fiera battaglia rompono il nimico, e riscuotono le coorti e bande; piene di ferite. Il capitan romano non ne fe’ vendetta, nè i morti seppellì; quantunque molti ve ne fosser tribuni, luogotenenti e segnalati capitani. Poscia s’intese da’ fuggiti, esser morti novecento Romani nella selva di Baduenna, combattendo sino all’altro dì: e quattrocento ritirati in una villa di Cruttorice, già nostro soldato, per tema di tradigione essersi ammazzati l’un l’altro.

LXXIV. I Frisoni ne saliro in gran fama tra’ Germani. Tiberio frodava il male per non commettere questa guerra ad alcuno, e ’l senato non si curava che l’orlo dell’imperio patisse vergogna. Paura in-