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238 DEGLI ANNALI

scoppiò in fine. Declamava Seiano. „L’impunità fomenta de’ rei l’ardire; altro ómai che parole: fatti e libidini sfacciate; senato, milizia subornasi; Nerone ostentasi imperadore; Tiberio comanda in Capri, Agrippina in Roma.„ Cesare mal di sé padrone in gelosia di stato, duci, truppe, rafforza; scrive al senato: „Scoppiami il cuor di doglia, occulto incendio mi strugge; la nuora, il nipote, che tormento a me! che cruccio! che rossore! Numi dell’impero, fate voi tristi que’felloni, cui dar niegano i Padri condegna pena„.

XI. Smagati i senatori, per sottrarsi al vicin turbine, se alla cieca far man bassa o no contro Agrippina e Nerone, dibatton timidi; e con atroce decreto ne conchiudon la condanna; ma previo l’esplorar per sospesa ambigua rimostranza il principe: „Che penetrati al suo dolore, al suo rischio costernati, inorrivano a quegli eccessi; prontissimi a vendetta, se non era il suo cenno ch’avvocata a sè aveva la causa, e la maestà sovrana, che per la sua dignità non va a slascio, ma a rilento in punire. Nel periglio di Cesare, non sol de’ rei il supplizio volersi, ma scoprirne e dissiparne le trame.„

XII. Sicuro a tal lettera del rispetto de’ Padri, Tiberio manda centurioni a strascicar in ferri Agrippina a Palmarola, Nerone a Ponza. La fama dell’accuse, la celerità del castigo, colpì il popolo, nei subiti casi perplesso, nei sinistri peritoso. Agrippina di sè conscia, per impazienza e risentimento, non sa reggere al colpo, fa petto al centurione, inveisce contro Cesare. Quegli per segreta istruzione di malmenarla come sa, le pigia la bocca, l’orba di un occhio; conciliando a tal ardire fede all’accuse, in-