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242 DEGLI ANNALI

colto, lieto sedea seco a mensa, quando l’ordine giunse del senato. Impallidì il commensale e reo insieme del principe; e pensava già a darsi morte per ben de’figli. Il rincorò Tiberio, e l’esortò a scolparsi da bravo, sulla certezza della grazia del senato, di Seiano e sua. Ma giunto a Roma, nè accordatagli difesa, sequestrato da tutti, di speme nudo, vien chiuso, datogli quanto sol bastasse a non morire. Più venturoso fu per lesta morte il dotto Siriaco, nulla reo, sol mal veduto per l’amistà d’Asinio. E ben era grazia l’esser estinto in sì rea stagione, in cui prese ad inberir colla stessa vita il tiranno, e farla d’ogni morir più amara; non mai più crudo, che quando risparmiandola, lungi tenea la morte, ultimo ristoro de’ mali, per far vivere di puro stento.

XXI. Intanto Tiberio più alto mirando, e delle stesse attenzioni di Seiano in sospetto, l’arte studiava da leggere in ogni cuore e stabilirsi in trono; e Seiano esplorava, n’esaminava la cera, i detti, i fatti, i pensieri stessi d’indagava. Sperto dell’uomo, e com’ei sia ne’ sinistri guardingo, cupo in dubbietà, fuor di sè tutto in fortuna, questa fa giocare per sicurarsi di sua fé, se leale; se falsardo, stiacciarlo sotto il peso de’ favori. Non sì caro mai Seiano; a fianco sempre e confidente del principe; per l’assiduità nelle cure, vigor d’animo, rara modestia, di nuovi onori tutto dì soverchiato; a parte de’ segreti e del governo; designalo console, al principe collega; accordatagli Livia pria negata; ogni arra al trono ei riceve, perché più certo ne sia fuori.

XXII. Ei di contramminare ignaro, a incensar