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SUPPLIMENTO AL LIBRO QUINTO 253

di Cesare. Scrive al senato: Sapersi i rei della morte di Druso, gli attentati contro sè: Eudemo e Ligdo sien collati: rei d’ambe le congiure, sien morti. Si raccese qui il pubblico odio a Seiano, il desiderio di Druso, l’amor per Tiberio; crebbe la compassione pel confessar d’Eudemo e Ligdo i misfatti di Livia e Seiano, e’l veleno da lor porto a Druso. Tiberio stesso, virtuoso ad arte, lode ha di clemente per la vita risparmiata a Livia dell’orrendo fallo convinta, pel merito e virtù d’Antonia. Ma non potè l’indulgenza abusar di Cesare la rea, spenta di fame dall’ottima madre, persuasa che stia sovra tutto la pietà nel punire i delitti. Disserla taluni uccisa da Cesare, perciò, che grazia non fe’ mai quel cuor di fiera.

XLV. In fine su’ seguaci di Seiano, tutto sfogossi il rigor delle leggi. Quanti sapeansi suoi favoriti o soci, furon puniti, se non compravan l’impunità a merito di spie e d’accuse atroci. Si rividero i processi già accusati, e’n grazia di lui assolti. Senatori, cavalieri, uomini, donne, in prigione, o in man di magistrati e di sicurtà. Molti a schivar confiscazione, e onta d’infame morte, se la diero; il resto, sentenziati e giustiziati: alcuno ebbe il coraggio di difendersi1.

XLVI. Quarantaquattro volte si orò in questa causa; con arringhe, per paura, e pel rammentio de’ misfatti, poche di nerbo: le più, per abitudine al giogo, fiacche. Meglio la sua ordì degli amici di Seiano l’integerrimo; le reità tacendo a lui aliene, la sacrosanta amistà salvando.» Non vidi mai,

  1. Qui rientra Tacito.