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SUPPLIMENTO AL LIBRO QUINTO 255

entrati mallevadori. Vitellio, vedutosi dar lunghiere, speranze e timori, si fece dare un temperatoio, quasi per mettersi a scrivere1, e scalfitosi leggermente la vena, morì d’angoscia. Ma Pomponio, gentilissimo di costumi, d’illustre ingegno, s’accomodò alla rea fortuna, e sopravvisse a Tiberio.

XLIX. Parve poi da procedere contro alli altri figliuoli di Seiano, benché alla plebe fusse la furia calata e de’ primi supplizj quasi ognun sazio. Furono adunque portati In carcere il figlioletto, che il suo

  1. Scalpro librario venas tibi incidit, dice Svetonio. Scrivevano gli antichi nelle foglie del papiro, erba che nasce in Egitto, e in pellicine tratte di scorze d’arbori, dette da’ Latini, libri. Forse le piegavano in rotoli come le nostre carte pubbliche antiche. Una di esse tutta scritta dicevano libro: più libri uniti insieme, codice. Scrivevano ancora come in pelli; e lo scritto che non piaceva o più non serviva, raschiavano per iscrivervi altro; e la pelle raschiata diceano palimptesto. Cicerone con Trebazio, che gli aveva scritto in palimpsesto, berteggiando sì maraviglia di quel che si potesse essere stato da raschiare, più tosto che quelle baie scrivere. In tavole incerate, dette pugillares, scriveano altresì con calami (cioè bocciuoli di canna aguzzati) o stiletti; onde fu la maniera del dettare detta stilo. Plinio nella prima Pistola a Cornelio Tacito scrìve che andando a caccia, aiutato da quelle selve e silenzio, componeva, per portarne, se le man vote, almen piene le cere. In questa cera, dice Quintiliano, era agevole lo scancellare; ma ci valeva miglior vista a leggere; e non rompeva il corso dello scrivere, e l’impeto de’ concetti, come fa Io intignere della penna. E vuole che chi compone, lasci grandi spazj per aggiugnere e mutare senza confondere le scritte cose, e poter notare in disparte, e quasi mettere in diposito, per servirsene a tempo, certi concetti belli, che spesse volte fuori di quel proposito sovvengono e poi fuggono allo scrivente.