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LIBRO SESTO 265

avessero sportello; noi vedremmo là entro i cani, i flagelli, cioè le loro crudeltà, libidini e pessime pensate, fare strazj di quegli animi, come de' corpi gli spaventevoli strumenti.„ Però, nè gran fortuna, nè vita amena potevan sì fare che Tiberio stesso non confessasse i suoi martori e supplizi interni.

VII. Avendo dato a’ Padri licenza di giudicare Ceciliano senatore, che dato avea quelle accuse a Cotta, lo dannarono nel medesimo, che Aruseio e Sanquinio, che accusaron L. Arunzio. Nè mai ebbe Cotta (nobile sì, ma povero per biscazzare, infame per male operare) onore come questo d’esser vendicato a pari d’Armizio di virtù santissime. Vennesi alle accuse di Q. Serveo, e di Minuzio Termo. Serveo fu pretore, e seguitò Germanico: Minuzio cavaliere, onesto amico di Seiano; perciò venne di loro maggior pietà. Per lo contrario, Tiberio dicendoli, stumie de’ ribaldi, comandò a Gn. Cestio senatore, che quanto a lui ne aveva scritto, dicesse al senato: e Cestio prese l'accusa. Peste misera di que’ tempi, che i primi del senato d’ogni cosuzza e parolazza, detta ora o mill’anni fa, palese e segiula, in piazza e a mensa, di strani e di congiunti, amici e non più veduti, m che che materia: e beato il primo: chi per difender sè, i più, quasi per male appiccaticcio, fossero rapportatori. Minuzio e Serveo essendo dannati, arricchiron le loro spie. Giulio Affricano di Santogna in Gallia e Seio Quadrato furono alsì dannati. La causa non rinvengo. Ben so, molti scrittori, molte pene e morti aver lasciato,

    mo scellerato sè stesso odia, uccide, nimica: nulla ha in sè che bene gli voglia: lo rode e lacera la sua coscienza„.