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LIBRO SESTO | 275 |
pericol suo; ma non dubitasse; e sempre quanto disse ebbe per oracolo, e lui per intrinseco amico.
XXII. Io veramente per questo e altri casi somiglianti, giudicar non saprei se le cose de’ mortali vengono per destino e ferma necessità, o pure accaso. I savi maggiori antichi, e loro Sette discordano, tenendo molti, gl’Iddii non tener conto di nostro nascere o morire, nè, in breve, di noi uomini, però i buoni aver male, e i rei bene le più fiate. Altri dicono in contrario; che le cose il lor fato portano non da’ pianeti1, ma da principj e cagioni naturali, che intrecciate tirano l’una l’altra; ma ci lasciano arbitrio d'eleggerci qual vita vogliamo; e a quella eletta, le cose per natura tirate avvengono; nè sono beni e mali quelli che al volgo paiono; anzi molti dalle avversità combattuti, tollerandole con fortezza, son beati: e per le gran ricchezze i più, male usandone, miserissimi. Le destinate cose per lo punto del nascere, avvengono ai più de’ mortali; ma perchè alcuni le pronosticano al contrario per inganno o ignoranza dell’arte, ella non è creduta. E pur di chiare sperienze ne ha veduto l’antica età e la nostra, avendo il figliuolo del detto Trasullo predetto a Nerone l’imperio, come si dirà a suo tempo per non allontanarci più dal proposto.
XXIII. Nel detto consolato si pubblicò la morte d’Asinio Gallo per digiuno: se volontario o no, incerto è. Cesare domandato, se si dovea seppellire, ebbe faccia di dire: „Come no?„ e dolersi del