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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/281

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274 DEGLI ANNALI

arderle nè toccarle osava: all’umanità forza e paura, alla pietà crudeltà contrastava.

XX. In questo tempo C. Cesare, che a Capri andò con l’avolo in compagnia, sposò Claudia di M. Silano: e dell’essere sentenziata la madre, confinati i fratelli, non fiatò; il suo bestiale animo convertendo di maliziosa modestia, con la quale sempre che Tiberio mutava vestito, egli simile abito, e poco svariate parole, usava. Onde s’appiccò il bel detto di Passieno oratore: „Non fu mai miglior servo, nè peggior signore.„ Non lascerò quello che Tiberio indovinò a Sergio Galba, allora consolo, il quale fatto venire a sè, con vari ragionamenti tastò; e disse in greco: „Anche tu, Galba, un dì assaggerai l'imperio:„ tardi, e corto significandogliene, per arte caldea, appresa nell’ozio di Rodi dal maestro Trasullo, la cui eccellenza così cimentò.

XXI. Quando egli voleva sapere un secreto, in cima d’una casa posta sopra uno scoglio, un suo liberto fidato, balioso, che legger non sapea, facea per quelle rocce la via innanzi, e conduceva su l’indovino; se ei pareva ignorante o ciurmante, gli era data la pinta in mare perchè non ridicesse il domandato. Condotto adunque Trasullo su per quei greppi, e domandato; predisse appunto lo imperio, e ciò che doveva avvenire a Tiberio, il quale commosso, gli domandò se egli aveva studiato la nascita sua, e qual fortuna corresse quell’anno e quel dì. Egli, calculato tempi e aspetti de’ pianeti, prima si rimescolò; poi atterrì: e quanto più squadrava, più gli s’arricciavano i capelli; finalmente gridò, che in gran punto, e forse ultimo era. Allora Tiberio l’abbracciò, e rallegrossi, ch’ei s’era apposto del