Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/280

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LIBRO SESTO 273

Sancia sua sorella levossi acqua e fuoco. L’accusatore fu Q. Pomponio; cervello inquieto, che diceva, aver questo e altro fatto per entrare in grazia del principe, e liberar Pomponio Secondo fratello suo. Ancora fu scacciata in esilio Pompeia Macrina, il cui marito Argolico, e Lacone suocero de’ primi delli Achei, Cesare aveva afflitti; e il padre, romano cavaliere illustre, e il fratello stato pretore, in sull’esser condannati, s’uccisero. Il peccato loro era, che Teofane di Metellino, loro bisavolo, fu intimo di Pompeo Magno, e dopo morte da quella greca adulazione adorato per celeste.

XIX. Dietro a costui, Sesto Mario, il più ricco di tutte le Spagne; fu d’aver giaciuto con sua figliuola rapportato, e gittato giù dal Sasso Tarpeo: e acciò non fosse dubbio, che lo gran danaio suo fu lo peccato suo1, Tiberio volle per sè proprio le cave dell’oro, benché incamerate. Insanguinato ne’ supplizj, fece ammazzar tutti gl’incarcerati per conto di Seiano. Giaceva infinito macello2 d’ogni età e sesso, e chiari e vili, sparsi e ammontati. Gli amici e parenti, venuti a piagnerli, a guatarli, non v’eran lasciati badare da’berrovieri, postivi a notare i più addolorati, e le corpora fetide accompagnare al Tevere; dove ondeggianti, o approdanti, niuno

  1. L’arcivescovo di Toledo in mezzo a due vescovi disse: Io vo in carcere in mezzo a un grande, amico mio, e un gran nimico mio. Turbandosi quelli, seguitò: Il grande amico è l’innocenza; il nimico è l’arcivescovo di Toledo. Silio a’ cento diceva, l’ira di Tiberio essere il peccato suo.
  2. Il porre innanzi agli occhi è gran virtù. Tacito se ne compiace molto in questi libri, come qui e altrove.