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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/291

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284 DEGLI ANNALI

solo lasciatone tra ’l mare e piè de’ monti Albani, chiuso la state da’ venti etesj pignenti a terra il mare, che quel greti e stagni riempie, che il verno secca, retropignendolo i mezzigiorni.

XXXIV. Ad Orode adunque così d’aiuti sfornito, Farasinane ingrossato presentava battaglia; e sfuggito, lo travagliava, gli cavalcava intorno al campo, impediva le vettovaglie, metteva guardie a modo d’assediò; tanto che i Parti, non usati a vergogna, sollecitavano il re a combattere. Gagliardi erano di cavalli; e Farasmane anche di fanti; perchè iberi e Albani, selve abitando, sono al patire e durare più avvezzi; e tengonsi discesi da Tessali nel tempo che Giasone1 menò via Medea, figliuoli avutone; tornò nel voto palagio di Bela e nella vedova Coleo. Hanno nel nome di lui e nell’oracolo di Frisso gran divozione: e niuno sacrificherebbe montone, credendosi che Frisso fusse portalo da quell’animale; o fu lo stendale della nave. Messi l’uno e l’altro in battaglia, mostrava il Parto l’imperio dell’Oriente, il chiarore arsacido; e per contra l’ignobilità ibera e le forze venderècce; e Farasmane: „Che non serviron mai Parti; quanto era la loro impresa più degna, tanto sarebbe la vittoria più gloriosa, e la fuga trista e dannosa: essere l’esercito orrido; il Medo orato; essi gli uomini, quei la preda.„

XXXV. Punse non pure la voce del capitano i Sarmati, ma ciascun sè, a scagliar via le frecce, e venire a furia alle mani. Vedresti vario combattere; il Parto con l’usata arte di correr dietro o fuggire,

  1. Narrano questa favola Valerio Flacco, Apollonio, Ovidio.