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SUPPLIMENTO AL LIBRO OTTAVO | 333 |
sto, che addatisi sbrancavano i più, a rivestir l’arme a difesa, fuggì ratto a Roma, in crudeltà e vigliaccheria al pari precipitoso.
XLI. Salda a quell’argine, dall’imbatto anzi più viva, piombò sul senato sua ira: e più che insolente temea pe’ recati sfregi tumulto, più studiò soffocarlo con dannaggi de’ più nobili e atrocità maggiori. Indi minacce e richiami: „Che i Padri al principe nemici, lieti ai suoi rischi, or sua gloria invidiano: che’l senato del meritato onor del trionfo lo froda, mentre a gara le province con celeste culto onorarlo, s’avacciano; ma è già l’ora di vendicar col sangue de’ domestici nemici la sua gloria e lo stato».
XLIL Seppe ciò a Roma tanto più agro, ch’ei poc’anzi intimato avea pena la vita a non parlar di suoi, onori. Che fare, che no, incerti, deliberano spedir Legati al principe dell’amplissimo ordine a pregarlo d’affrettarsi. I quai bruscamente accolti, in alto tuono: „Verrò, rispose, verrò con questa:„ l’else della spada a fianco più volte picchiando. Il terrore poi accrescendo colla popolarità: „Tornerò, disse, ma pe’ soli che ’l bramano, popolo ed equestri; pel senato non son io più nè cittadino, nè principe: e che non m’esca contro senatore„. Omesso o differito il trionfo, ovante entrò nel suo natale in Roma: e, per cattivarsi la plebe, gran somme dalla vetta della Basilica Giulia più giorni le gittò; liberale in quanto sua sevizia o libidine favoria.
XLIII. Ma sovra l’altre ideali cagioni d’ira, la congiura vi fu da Anicio Cereale scoperta. Nè parve bastar punito solo Sesto Papinio di padre consolo. Ei nel delitto, come nel supplizio, ostinato a tacère, fu chiesto ch’alcun complice, vero o falso, riveli,