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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/359

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352 DEGLI ANNALI


V. Ma Senzio Saturnino, e Pomponio Secondo, consoli, a più grave obbietto fisi, la Curia sdegnando per dirsi Giulia, occupato il Campidoglio e ’l Foro, e ordinato all’urbane coorti di vegghiare a sicurezza del senato, editto proposero ontoso a Caio, con promessa al popolo di scemar l’imposte, a’ soldati di regalo, se ognuno a casa ritraessesi, da trambusti e ruberie cessando. Adunati poi i Padri, della forma trattaro del governo. Chi volea abolito il nome de’ Cesari, distrutti i templi, rimessa la libertà; chi la continuazion dell’impero; e questi in vari partiti chi un principe chiedea, chi un altro, giusta loro spemi e fortune. Ognun del suo progetto pugnando, il resto del dì e la notte fer correre, e uscirsi di mano libertà.

VI. Caso, non consiglio portò Claudio, all’impero. Atterrito alla nuova del fatto, era egli corso alle logge del palazzo, sofficcatosi tra le portiere; quando di là a caso passando un soldatello, e visto i piedi, curioso chi fosse, il riconobbe, e vedutoselo per timore a’ piedi, lo salutò imperatore, e ai compagni il menò. Dal furore alla venerazione a un tratto passando, mettonlo in lettiga, e a vicenda reggendola, al campo lo portano, tristo e smarrito, e da chi l’incontrava, commiserato, come innocente tratto al patibolo. Fra’ baluardi accolto in mezzo alle guardie passò la notte in timor più che speme.

VII. Poichè i Padri fra libertà e nuovo padrone incerti, dibatteanla ancora; e Senzio Saturnino console tutti a libertà avea quasi animati, ad abbracciar esortando quell’inaspettato dono del cielo, della fortezza di Cassio Cherea frutto, a segnalar quel dì, glorioso ad essi, a’ posteri lieto, per tutte età fu-