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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/42

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LIBRO PRIMO 35

gini delle ferite, i lividi delle bastonate: diceva un tuono di varie voci: „Male aggiano le compere dei risquitti, le paghe scarse, il lavorare arrangolato, a trincee, fossi, fieni, legnami, materie, bastioni e che altro vuole bisogno o esercizio.„ Atrocissime grida uscivano dai vecchi, i quali allegando trent’anni di servito, e più, chiedevano riposo per mercè: e di non morire in quelle fatiche, ma finire con un poco da vivere sì duro soldo. Ebbevi chi domandi il lascio d’Augusto a Germanico, agurandogli e offerendogli, s’ei lo volesse, l’imperio. A questo, come tentato di fellonia, si scagliò dal tribunale; e andandosi via, gli voltaron le punte con minacciarlo, se ei non tornava; ma egli sciamando: „Prima morire, che romper fede„; sguainato lo stocco, l’alzò: e ficcavatosi nel petto, se non gli era tenuto il braccio. I diretani uditori adunati, e alcuni soli passati innanzi, e accostatiglisi (non si può, quasi credere) diceano: „Ficca, ficca1!„ e un soldato, detto

  1. Se io uscirò di mia natura di non riprendere mai alcuno, siami qui perdonato. Quel Muzio, che venne di Capo d’Istria in Firenze a parlare e scrivere di questa patria villanamente, e insegnarci favellare con la sferza in mano di quelle sue pedantesche battaglie, farebbe ceffo a questa fiorentinaria (che così le proprietà nostre appella con barbarismo goffo e suo) censurerebbe così, Confortavalo che si ferisse. Sapevamcelo. Ma quel porre innanzi agli occhi è gran virtù di parlare: per la quale Dante, altro che lucerna del mondo, nel suo poema non pur grave, ma sacro, usò con ragione. E lascia dire chi quindi tra le tante bellezze eterne lo dice indegno. Chente sono e quali le bassezze d’Omero? il dire a Giunone Occhi di Bue, a Minerva, di Civetta, e niente. Il nostro Tacito, sì severo, si lasciò ire per dipigner l’imprudenza di Cotta Messalino, a quel Tiberiolus meus.