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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/46

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LIBRO PRIMO 39

alfier dell’Aquila, non sosteneva una estrema carica, avrebbe, (cosa rara tra i nimici) l’ambasciador romano, nel campo romano, col sangue suo imbrattato i divini altari. Al dì chiaro, quando il generale, i soldati e i fatti si scorgeano. Germanico entrò nel campo, e fatto Planco a sé venire e seder allato nel tribunale maladisse quella l’abbia fatale che rimontava: non perirà de’ soldati, ma degl’Iddii, disse; perché venuti erano gli ambasciadori, l’ambasceria violata, il grave caso indegno di Planco, l’onta fattasi: quella legione con facondia compianse. E lasciatigli attoniti più che quietati, ne rimandò gli ambasciatori con iscorto di cavalli stranieri.

XL. In tanto periglio ognuno biasimava Germanico, che non tornasse all’esercito disopra ubbidiente, e aiuto contro a’ ribelli: „Essersi pur troppo errato con tante licenze, paghe e fregagioni; se di sè non cura, perchè tenere il picco! figliuolo, e la moglie gravida tra quelle furie, d’ogni ragióne violatrici?„ Renda all’avolo e alla repubblica questi almeno. Egli dopo molto pensare, con molte lagrime abbracciando quel figlio e’l ventre di lei recusante, e ricordante che nata era d’Augusto, e ne’ pericoli non tralignava, la svolse finalmente a partire. Fuggivasi miserabile donnesco stuolo: la moglie del generale col figliuolino in collo; piangendole intorno le donne de’ cari amici lei seguitanti, e non meno le rimagnenti.

    Postilla §. XVII del secondo libro. A Tivoli in un marmo, tra gli altri fatti di T. Plauzio Silvano si legge:

    ignotos ante aut infensos p.r. reges
    signa romana aloratvros
    in ripam qvam tvebatve perdvxit.