Vai al contenuto

Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/64

Da Wikisource.

LIBRO PRIMO 57

fato„. Così detto, col fior de’ suoi, sdrucì ne’ nostri, ferendo massimamente i cavalli; i quali in quel terreno di sangue loro, e di loto molliccico, davano stramazzate, o sprangavan calci, scavalcavan l’uomo, sbaragliavano i circostanti, calpestavano i caduti. Intorno all’aquile fu il travaglio, le quali nè portare si poteano contro alle voltate punte, nè nel suolo acquidoso ficcare. Cecina nel sostener la battaglia, mortogli il cavallo sotto, cadde, ed era prigione se la legion prima nol soccorreva. La ingordigia de’ nemici, che lasciaron l’uccidere per lo predare, n’aiutò; perchè intanto le legioni tal brigarono, che la sera furono al largo e nel sodo. Nè qui finirono i guai: conveniva fare steccati, argini: cavare, tagliare: ed erano in gran parte perduti gli ordigni: non da medicare i feriti, non tende per li soldati. Compartivansi cibi fangosi o sanguinosi; lamentavansi di quella funesta notte; e che tante migliaia di persone avessero a vivere un sol dì.

LXVI. Un cavallo, rotta la cavezza, spaurito dalle grida, correndo si avvenne in certi, e sbaragliolli; tale spavento diedono, pensandosi essere i Germani entrati nel campo, che ognun corse alle porte e specialmente alla Decumana, opposta al nimico e più sicura a fuggire. Cecina trovato la paura vana, non potendo tenergli con l’autorità, nè co’ preghi, nè con mano, si distese rovescione in su la soglia, onde la pietà del non passar sopra il corpo del Legato, chiuse la via: e prestamente i tribuni, e’ centurioni chiariron falso il timore.

LXVII. Allora ragunatigli nelle Principia, imposto silenzio, mostrò loro a che stremo erano: „L’armi sole potergli salvare, adoperate con senno; ciò