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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/69

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62 DEGLI ANNALI

Rubrio era incolpato di spergiuro per lo nome di Augusto. Quando Tiberio il seppe, scrisse a’ consoli: „Non essere stato dichiarato suo padre celeste, per rovinare i cittadini. Cassio essere un recitante come gli altri alla festa, che sua madre fa per memoria di Augusto; nè la religione danneggiarsi, se con le vendite delle case e giardini, vanno i simulacri di lui come quelli degli altri Iddìi. Quello spergiuro essere, come se l’avesse attaccato a Giove: Alle Ingiurie degl’Iddii, gl’Iddii pensare.„

LXXIV. Non passò guari, che a Granio Marcello, pretore in Bitinia, fu da Cepione Crispino questore suo dato querela di maestà, raggravata da Ispone romano, uomo che prese un mestiero, che poi venne in gran credito per le miserie de’ tempi e per le sfacciatezze degli uomini: costui, povero, sconosciuto, inquieto, col far lo spione segreto, trapelò nella grazia del crudel principe, tendendo trabocchetti a più chiari, ’e divenuto potente appresso uno, odioso a tutti, lo stendardo alzò a coloro, che seguitandolo, di poveri fatti ricchi, di abbietti tremendi, trovarono Io altrui, e al fine il loro precipizio. La querela voleva che Marcello avesse sparlato di Tiberio; e non vi era difesa, perchè il prod’uomo scelse le cose di lui più laide, le quali, perchè eran vere, si credevano anche dette. Ispone aggiugneva, aver Marcello la statua sua messa più alta di quella de’ Cesari, e ad un’altra di Augusto levato il capo, e messolvi di Tiberio. Di questo montò in tanta collera, che non potendo più stare taciturno, gridò, che voleva in questa causa dire anch’egli il suo parere aperto e giurarlo, perchè gli altri non avessero ardire di contraddirgli. Rimaneva pure