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LIBRO SECONDO | 91 |
a vederlo: con volto moderato e vari ragionamenti, consumò tempo e camminò tanto, che non essendo niente che i parenti spuntàsser Pisone; Augusta gli mandò i suoi danari, e fu finita la quistione; ove Pisone acquistò alcuna gloria, e Tiberio miglior fama. Essendo la potenza d’Urgulania venuta a tale, che dovendo sopr’una causa esaminarsi in senato, non degnò andarvi, e s’ebbe a mandarle a casa messere la podestà1: e pure le vergini di Vesta vengono abantico ne’ magistrati a diporre verità.
XXXV. Non direi del prorogato in quell’anno, se non fosse bello intendere le batoste fattone G. Pisone e Asinio Gillo. Pisone, avendo Cesare detto: „Io non ci sarò„, voleva che tanto più i Padri e i cavalieri seguitassero lor ufficio; come che ciò fosse onore della repubblica. Gallo, perchè ciò sapeva di
- ↑ Potevasi dire, Io pretore, ma e’ m’è piaciuto, non per usarla, ma per isciorinarla un tratto, e trarre questa voce del suppediano dell’antichità. Oggi diciamo il Podestà, e facciamo discordanza in genere. Gli antichi, perchè nel pretore era tutta la somma podestà della giustizia, il chiamavano la Podestà, come noi oggi i principi, la santità, la maestà, perché in loro queste qualità sono in sommo grado, e quasi l’istessa cosa. Ma perchè la città nostra era cresciuta di stato e di ricchezze, e di negozi mercantili, che non si fanno tuttavia col notaio a cintola, ma con fede e lealtà di semplice parola; e questi negozi da’ legisti erano giudicati con troppo rigore, sottilità e lunghezza; fu creato il magistrato de’ sei mercatanti, che lì decidessero pettoralmente d’equità, e verità, secondo l’uso del negoziare. E perchè delle loro sentenze que’ savi in giure spesse volte sì ridevano, le annullavano, il contrario giudicavano; que’ nostri savi in governo, fecero contra li offenditori delle sentenze de’ sei quella legge severa detta del Noli me tangere.