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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/19

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LIBRO DECIMOTERZO 19

satore, ma voce d’un solo, e di casa nimica; considerasse che nella notte, e fra ’l vino le deliberazioni potevan riuscire indiscrete e temerarie.

XXI. Scemata così al principe la paura e fattosi giorno, a Burro fu commesso che andasse a esaminar Agrippina, per assolverla o dannarla. Egli, presenti Seneca e alcuni liberti, lesse la querela e gli accusanti, e minacciolla. Ella più indragata che mai, disse: „Non è maraviglia che Silana sterile non conosca l’amor de’ figliuoli, i quali non posson la madre scambiare come le ribalde i bertoni. Nè Iturio e Calvisio, che si son pappati loro avere, e ora per, aver pane da quella vecchia mi fanno la spia, cagioneranno mai a me infamia, nè a Cesare colpa di parricidio. Alla nimicizia di Domizia avrei obbligo se ella gareggiasse meco in amare Nerone mio; ma ella attende ora co’ bei personaggi d’Atimeto suo drudo, e di Paris suo strione quasi a compor farse; e prima si trastullava a Baia co’ suoi vivai, quando io co’ miei consigli lo faceva adottare, far viceconsolo, disegnar Consolo, e l’altre vie gli lastricava all’imperio. Bene ora contro gli avrò tentato guardia, sollevato vassalli, corrotto schiavi liberti? Forse poteva io vivere regnando Britannico? o se Plauto, o altri, fatti padróni, m’avessero avuto a giudicare, mancare forse accusatori, non di parole scappate per troppo amore, ma di cose da non perdonarle se non ei figliuolo a me madre?„ Commosse que’ che v’erano, e cercavano di mitigarla. Ella ottenne di parlare al figliuolo, col quale non entrò nè in sua innocenza, quasi le bisognasse, nè in suoi beneficj, quasi gli rimproverasse; anzi ottenne gastigo agli accusanti e premio agli amici.

XXII. Fenio Rufo fu fatto prefetto dell’abbondan-