Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/197

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XXXV. Allora non pure il popolo e la plebe ignorante, ma i Cavalieri e' Senatori, quasi tutti folleggiano, per mostrare a Galba allegrezza e amore. Rovinano, come sicuri, le porte del palagio, per entrare e farglisi vedere, dolendosi che altri prima di loro avesser fatta la vendetta. I più codardi (chiariti poi al bisogno ) più sparate faceano, e più feroci ; niuno il fatto sapeva, ognuno l'affermava ; di maniera che Galba, per non saper il vero, e vinto dall' errore di tanti, si mise il corsaletto : e non potendo stare, vecchio e debole, in quella calca, fu levato in seggiola. Riscontrandolo in palagio Giulio Attico alabardiere gridò : » Con questa spada » ( e la mostrò sanguinosa ) » ho ucciso Otone. » E Galba a lui: » Compagno, chi te l'ha comandato? » Sì era al frenar le licenze soldatesche animoso, di minacce non pauroso, da lusinghe non corrotto.

XXXVI. In campo già eran tutti risoluti e sì accesi , che non contenti d' aver circondato Otone, lo posero in rialto, in mezzo a tutte l'insegne e bandiere , ove era stata la statua d' oro di Galba. Nè Tribuni, nè Centurioni poteano accostarglisi, volendo i privati soldati guardarlo anche da' loro superiori. Era ogni cosa pieno di grida e tumulto : davansi lutti animo, non con adulazione vana e plebea, ma ogni soldato che compariva, prendevan per mano, abbracciavan con l' armi, menavanlo da Otone : dettavangli il giuramento: ora ai soldati l' Imperadore, ora loro a lui raccomandavano. Nè mancava esso di stender le mani, adorar quella turba, lanciar baci, far lo schiavo, per esser fatto padrone. Quando tutta la legion di mare ebbe giurato ; parendogli averne buono, e da accendere tutti insieme que' che egli avea