Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/273

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arbori , biade , orti calpesti , solitudine orribile. Nè meno inumana cosa era una parte della strada dai Cremonesi pa-rata, fronzuta d’ alloro e rose, con altari , uccisovi ostie, come a Re ; le quali allegrezze tornaron poi loro in pianto. Valente e Cecina gli mostravano i luoghi della battaglia: » Qui s’affrontaron le legioni : quindi uscirono i cavalli addosso : qua circondaron gli aiuti. » Tribuni, sergenti, ognuno diceva : » Io feci , io dissi : » cose grandi , vere e false. Turbe di soldati saltan fuori di strada, con grida e allegrezza riconoscono ove furono le zuffe : guatano le masse dell’armi: le cataste de’corpi e strabiliano. Alcuni considerando quanto è varia la fortuna, piangevano e compativano. Vitellio niente intenerì , nè si raccapricciò di tante migliaia di cittadini rimase ai corbi , ma lieto e gaio alli Iddii del luogo sagrificava, non vedendo la roviua quasi vicina.

LXXI. Fabio Valente gli fece poi la festa de’ gladiatori in Bologna , con apparato fatto venire da Roma; ove quanto più s’appressava, più era il viaggio ammorbato di mandrie, distrioni, eunuchi e del resto della scuola di Nerone ; perchè Vitellio ammirava ancora lo stesso Nerone , e andandoli dietro , quando ei cantava , non per bisogno , che scusa i buoni, ma perchè ei s’era venduto per ischiavo al pappare e scialacquare. Per non tener a disagio Valente e Cecina , dell’ onore del consolato , raccorciò il tempo ad altri. Marzio -Macro, stato Capitano della parte d’ Otone , fece vista che non fusse Consolo, e Valerio Marino, destinato da Galba, prolungò ; noa per alcuna offesa, ma per esser dolce uomo da non sapersene risentire. Lasciò in dietro Pedanio Costa, avendolo poco a grado ; perchè contro a Nerone congiurò