Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/318

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li potenti e fedeli, da tanti spazj di terra e mare , tenuto discosto. Nella città, in seno, avere il nimico, che si vanta de' suoi avoli Giunj e Antonj, di esser di schiatta imperiale, e mostrasi dolce e largo asoldati. A costui ognun volgersi ; mentre Vitellio a chi gli è nimico o amico, non badando, tira su un emolo, che da tavola rimira i travagli del Principe. Esser bene, di sì scelerata allegria, farlo tristo , e dare a divedere che Vitellio è vivo, e regge, e in Ogni caso, ha un figliuolo ».

XXXIX. Dibattutosi tra la paura e la voglia, per levarsi il pericolo del tener Bleso vivo, e'l carico di farlo morire alla scoperta , si gittò al veleno ; il che più si credette, essendolo andato a vedere con allegrezza grandissima : oltre al crudel vanto datosi (io riferirò le parole proprie) d'aver pasciuto gli occhi della morte del suo nimico. Eu in Bleso, oltre alla chiarezza del sangue e gentilezza de' costumi, fede ostinata. Cecina il tentò e altri Capi di quella parte cominciati a stuccarsi di Vitellio, ancora in buon essere, ed ei sempre forte, santo, quieto: sì poco de' subiti onori, non che del principato curante, che poco ne mancò al non parerne degno.

XL. In tanto Fabio Valente con mandrie d' eunuchi e concubine, camminando più lento che la guerra non ama, ebbe avviso in estrema diligenza, che Lucilio Basso avea data l'armata di Ravenna ; e poteva, se ei fusse uscito di passo, tener Cecina in cervello, o esser a tempo a trovarsi alla giornata; nè mancò chi consigliarlo, d'andar co'suoi più fidati per tranelli , scansata Ravenna, a Ostilia é Cremona; altri di chiamar i Pretoriani da Roma, e passar per forza, Egli si trattenne: e quando era tempo da fare, se