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«Nondimeno mi convinsi a poco a poco che — fosse egli stato o no l’autore di quel biglietto — quell’incognito mi amava. Era così facile l’indovinarlo. Egli non passava che per vedermi — ciò era evidente. In quanto a me, non aveva già più altro pensiero che il suo. Essere amata da quel giovine mi pareva felicità così grande, che ne era quasi atterrita. La sua bellezza sembravami ancora superiore all’ideale che mi era formata di un amante.

«Un giorno ripassò sotto le mie finestre cavalcando, mi guardò e mi mostrò con aria d’intelligenza un mazzetto di viole che aveva in mano. La mattina trovai quei fiori sul mio balcone. Dentro vi era un altro biglietto su cui era scritto: «Mi amate? Lodovico». Non v’era dubbio. Era lui, e mi amava. Immagina tu, o Giorgio, l’anima mia!.

«In quel tempo, mio cugino, che era maggiore, e aveva ottenuto un anno di disponibilità, conviveva colla mia famiglia. Egli era orfano da giovinetto, e mio padre, che era poco più attempato di lui, lo aveva caro come un fratello. Alcuni amici suoi e di mio padre si radunavano alla sera nella mia casa; erano persone serie, gravi, mature, appassionate di discussioni politiche; e nè io nè mia madre solevamo far loro maggior compagnia di quel tanto che ce lo imponevano le convenienze. Mio cugino mi disse un giorno: «Come avviene che non ti si vede mai? sembra che tu ci sfugga: hai forse paura dei nostri anni e della nostra serietà? vuoi vederti intorno dei giovani? Lasciane il pensiero a me; porterò qui una calamita più attraente.» E alla sera fui per svenire allorché lo vidi entrare nella sala collo sconosciuto che mi aveva gettato quei due biglietti.

«Egli lo presentò a mio padre come il conte Lodovico di B..., veneto ed emigrato. Disse averlo conosciuto