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amore nell'arte 243


Dopo l’abbandono di Regina ebbi altri affetti e altri inganni; conobbi le donne uguali tutte, propense all’amore, ripugnanti perciò dall’amicizia che ne rifiuta i privilegi e i diritti, facili all’affetto, atte a colorire con quella vena di facile poesia che è in esse qualunque atto di degradazione fisica sul quale l’uomo si arresta a meditare con dolore... Non ho serbato memoria di una donna giovine, che abbia saputo perdonare a me giovane di averle potuto offrire dell’amore e di non averle dato che dell’amicizia. Rientrai in me stesso; volli riabitare questa casa, rivedere questi luoghi che mi parlavano dell’infanzia, l’unica età della vita sulla quale noi possiamo ritornare senza piangere, e darmi tutto alla mia arte, e vivere di essa e per essa.

Ma neppure qui non mi sento sereno, non mi sento felice; non si può amare l’amore per l’amore, e l’arte che ci crea un ideale così elevato, non basta a far tacere quel bisogno incessante dell’anima che ci spinge a cercarne una personificazione più o meno imperfetta negli uomini e nelle cose reali della vita.

Bisogna amare, ecco la condanna; o turpemente o nobilmente bisogna amare: per noi che ne vediamo l’oggetto nel cielo e dobbiamo cercarlo nel fango è una condanna doppiamente terribile. Io vorrei possederlo questo oggetto, ma dove mi sarà dato di rinvenirlo? dove troverò la donna diversa dalla donna? Combatto da lungo tempo col mio cuore, tento di ucciderne l’affettività, di deviarla dalla donna e di rivolgerla all’arte. Inutile sforzo! La natura prevale; e l’arte, che è troppo grande, troppo conscia di sè per temere di una rivalità così poco durevole, ne seconda la legge ed i fini.

Tornato qui, trovai Adalgisa già adulta; ci eravamo separati bambini, e benchè io non fossi allora che un