Pagina:Tarchetti - Fosca, 1874.djvu/268

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amore nell'arte 267

mera ne evocava lo spirito col suo atto della volizione, e si abbandonava con lui alle dolci confidenze, alle piene espansioni del loro affetto, alle costanti e profonde investigazioni del loro destino.

Spesso io sorrideva della sua fede, ed egli mostrava di compiangere la mia incredulità, e diceva con tutto lo slancio d’un desiderio a stento represso: — Ho potessi io presto morire, andarmene, libero, là dov’egli dimora! oh potessi presto raggiungerlo!

E lo raggiunse di fatto.

Ora potremo noi dileggiare un trasporto di fede sì vivo? E siamo noi ben sicuri che lutto ciò non fosse che fede, che allucinazione, che sogno? Ho sentito uomini colti e severi dire coll’espressione d’un convincimento incrollabile: «Ciò è falso, ciò è vero, ciò solamente sussiste, fin là e non più oltre voi dovete innalzare l'edifizio della vostra fede. » Presuntuosi! E fino a qual punto hanno essi scrutato nelle viscere della natura? Fino a qual pagina essa ha loro aperto il libro meraviglioso de’ suoi segreti? Che vi hanno essi letto? La fede è finita: dalle sue basi incrollabili noi possiamo trarre delle conseguenze finite, perciò spesso limitate, monche, imperfette: ma il dubbio solo è grande, sconfinato come l’immenso universo, incommensurabile come l’oceano, profondo e tenebroso come gli abissi dell’anima umana: il dubbio è la rivelazione della scienza, — essa lo cerca immolandogli ogni fede — poiché una sola fede esiste, quella del dubbio.

Ma veniamo al nostro racconto.

In un caldo mattino di agosto dell’anno 1840, un elegante calesse tirato da due cavalli amburghesi, sollevava un nembo di polvere sulla via che da Raab mena a Vienna. Su quel calesse vi era Riccardo Waitzen; egli veniva da