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282 amore nell'arte

appartengono più interamente ad alcuna. L’umanità riverisce nel dolore e nella vecchiaia le scolte di questo mondo invocato.

E certo quel fascino del canto di Anna, quella emanazione divina e incomprensibile di tutta la sua persona, non erano che l’eco di una rivelazione di quel mondo. E che cosa è il canto? Tutti i popoli cantano, ma gli sventurati sopra tutti. Egli è forse la rimembranza di un linguaggio che sparve o le prime voci di un linguaggio che sorge? forse la lingua delle passioni, di cui noi balbutiamo le prime sillabe disordinate e sconnesse? Anna cantava il suo amore e la sua morte, e le sue note erano l’elegia del suo destino. — Anche gli uccelli cantano morendo.

Mi ricordo che quando era fanciullo mi prendeva vaghezza di andare le notti di primavera ad ascoltare il canto degli usignuoli. Una sera era per ciò uscito alla campagna, e m’era seduto presso una siepe poco distante da un olmo, su cui uno di essi cantava con tale abbandono, e con note si malinconiche e toccanti che io, senza saperne il perchè, mi struggevo tutto in lacrime udendolo. Si piange assai facilmente a quell età, e tutta la vita avvenire ha di rado un sorriso che valga una sola di quelle lacrime. La luna era limpida e piena e inondava quelle campagne silenziose della sua luce; tutta la valle risuonava di quel canto. Ma nel colmo della notte la sua voce divenne fioca e lamentevole; a poco a poco le sue note si mutarono in un gemito prolungato, sommesso, poi interrotto..., poi non udii più nulla: pensai che fosse volato via. Stava allora per allontanarmi quando intesi un improvviso romorìo tra quelle frondi, e sentii qualche cosa caderne, urtando di ramo in ramo:... mi avvicinai esitando, e vidi che era un uccello, un usignuolo, certo quello medesimo; lo