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fosca 45

Uno dei medici si alzò da tavola un po’ a malincuore, e senza mostrare di darsene molto pensiero, entrò nell’appartamento di Fosca. Le sue cameriere non avevano dimostrato maggior premura di lui. Degli altri commensali nessuno si era mosso, o aveva dato il menomo segno di meraviglia.

A me era stato impossibile frenare la mia emozione. Non solo quelle grida erano orribilmente acute, orribilmente strazianti e prolungate, ma io non aveva immaginato mai che vi potesse essere qualche cosa di simile nella voce umana; o essendovi, non mi pareva possibile che l’uomo da cui era uscito una volta un tal grido potesse vivere ancora.

Ho esperimentato, prima e dopo quel giorno, fino a qual limite possa giungere il dolore nella natura umana, e ne ho intese tutte le rivelazioni vocali possibili, ma non mi avvenne mai di sentirlo manifestare con un linguaggio così orrendamente spaventoso come quello. Oggi ancora, dopo cinque anni, io risento ne’ miei sogni l’eco di quelle grida terribili.

— Vedo che siete un poco preoccupato da quell’avvenimento — mi disse il medico allorché fummo usciti assieme da quella casa. — Confessate…

— Voi prevenite la mia domanda — interruppi io ansiosamente. — Ne fui commosso nel più profondo dell’anima; perché dovrei nascondervelo? Non so come non si potesse esserne commossi. Ma che malattia ha dunque quella donna?

— Tutte.

— Tutte! Spiegatevi.

— È una specie di fenomeno, una collezione ambulante di tutti i mali possibili. La nostra scienza vien meno nel definirli. Possiamo afferrare un sintomo, un effetto, un risultato particolare, non l’assieme dei suoi