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malata, incapace di provvedere al suo sostentamento. Alla prima notizia di quell’avventura essa si era recata dal delegato, e ne avea avute notizie desolanti — «Era un cattivo soggetto, portava armi vietate, aveva ferito due passaggieri innocui, e non avrebbe così presto riveduto il sole da una finestra senza scacchiere; tornasse per vederlo verso le quattro di sera» — ella scorgeva dunque d’innanzi alla povera fanciulla una serie di orribili giorni, vi intravedeva l’isolamento, lo sconforto, le privazioni, la fame; e in un istante in cui la Mineu che stava prostrata in un angolo della camera col volto celato nel grembiale, sollevò i suoi occhi soffusi di lagrime verso quelli di Paolina e ve li tenne fissi un momento con espressione quasi supplichevole; costei vi lesse, vi indovinò una preghiera, e chinandosi e gettandole le braccia al collo, le disse:

— Che faremo noi, Marianna?

La fanciulla non rispose che con singhiozzi; e allora Paolina aggiunse, sforzandosi di rialzarla:

— Perché non potrete vivere con me? Andate, andate Marianna, e ponete in ordine le cose vostre, e poi tornerete qui, e vi tornerete per sempre: non saremo poi tanto sventurate se potremo ancora piangere insieme.

Vi hanno dei dolori tanto potenti, tanto superiori a quella forza opposta, mista di amor proprio e di speranze, di cui la provvidenza ci ha armati per sopportarli, che la loro sensazione, soverchiando la nostra natura mortale, sembra mutarne l’essenza. Tutto è limitato nelle nostre facoltà, e, oltre questi limiti, le sensazioni si confondono, e ci oppri-