Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/120

Da Wikisource.

Alt! - ed estratto dalla custodia un cannocchiale da campagna, lo porse a Fritz Langen, dicendogli:

— Guardi, la prego, signor professore.

Si trovavano in cima a un colle, sopra una spianata aperta, di dove l'occhio s'inebriava di fulgori. Al limite estremo dell'orizzonte il fluttuare dei vapori argentati, poi l'altezza solitaria del monte Peglia, poi, digradando, monti meno superbi, colli ondulati, collinette leggere, e, isolata sopra il suo masso immane, la città di Orvieto e, fra l'agglomeramento delle case brune, la mole del Duomo coperta del suo tetto rosso, bianca e nera nella vastità dei fianchi a speroni.

La facciata sembrava un quadro gigantesco, dipinto, tra osannar di cori, da schiere di angeli festosi per magnificare la gloria del Signore.

Fritz Langen non si saziava di contemplare e Bindo Ranieri sorrideva fra sè, con discrezione, poichè la facciata del Duomo è, in verità, una di quelle cose di cui gli orvietani evitano di menar vanto per eccesso di orgoglio soddisfatto.

Il signor professore restituì a Bindo il cannocchiale e chiuse gli occhi, quasi abbacinato; ma li riaprì subito e sospirò, già punto al cuore dal presentimento della nostalgia che, ripensando a quell'ora, a quei luoghi, anche dopo lunghissimo spazio di tempo, avrebbe avvolto nel ricordo il passato di rimpianto ineffabile. Mai, mai, per trascorrere di anni o di vicende, egli avrebbe potuto obliare una simile bontà di tutte le cose: il cielo terso,