Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/122

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Fritz Langen, sempre cantando, tornò indietro a cercarla e, presala per mano, l'obbligò a seguirlo di corsa, attraverso rami e cespugli, fino all'ingresso delle tombe:

— Veni mecum ludere.

Dagli ampi stipiti, un odore di cose morte scendeva e, varcando la soglia, ella sentì che il piede le sdrucciolava sul terriccio umido. Strinse la mano di Fritz Langen, che l'aiutò a superare il gradino, esclamando:

— Nessuna paura; Pluto e Proserpina ci proteggeranno!

Il custode, uomo pingue, di rosso pelame, faceva strisciare la torcia di resina sull'intonaco screpolato delle pareti, dove la vita dei padri antichi rivive, nelle abitudini, nelle vesti, negli utensili, nell'arguzia un poco triste e attonita dei profili aguzzi, negli atteggiamenti di forza alacre, nelle particolarità più minute della fiamma che guizza, dello schiavo che indietreggia per l'eccessivo calore di essa.

— Vede, monna Vanna, quanto sono ospitali i suoi nobili antenati? Ci stanno preparando il pasto. E ce ne sarà in abbondanza. Guardi, guardi, monna Vanna. Un vitello, una lepre, due piccioni, un capriolo! Speriamo che i cuochi si facciano onore.

— Sono preparativi di un banchetto funebre - disse Bindo Ranieri.

— Già, già, tutt'i banchetti sono funebri per gli animali cucinati in salsa; ma per gli animali seduti