Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/162

Da Wikisource.

Era di sabato ai primi di agosto, e faceva assai caldo. Vanna propose di respirare il fresco sopra il balcone; monsignore preferì di restare nella sala, e prese posto sull'ampio divano ricoperto di damasco a fiorami. Intorno alle pareti i ritratti a olio dei Monaldeschi si avvolgevano di ombra dentro il luccichìo discreto delle cornici massicce. Monsignore parlò con naturalezza di molte cose indifferenti e Vanna, aspettava, tenendo le mani abbandonate in grembo. No, monsignore non era lì in visita, come sempre, per chiacchierare di cose indifferenti. Ben altro doveva dirle, ed ella aspettava rassegnata, già vinta, ansiosa di ascoltare dalla voce di lui, morbida e piena, gravi parole di severità.

Monsignore invece si prese accanto Ermanno e, tenendogli con tenerezza paterna una mano fra le mani, gli chiese conto dei suoi studi, lo incoraggì all'ubbidienza e all'amore verso la mamma.

— Oh! la mamma - egli diceva al piccolino nella sua pura loquela senese - dev'essere in cima di ogni tuo pensiero, perchè tu occupi tutto il suo cuore. Non c'è sacrificio ch'ella non compirebbe per te, per il decoro del tuo nome, che è nobile, illustre nella storia, e che non va macchiato. Ricordati, Ermanno, il nome che si riceve in custodia dagli altri è un deposito sacro; non va macchiato. Chi non ne ha stretta cura manca ai suoi doveri di cristiano, turba le leggi del consorzio civile e dovrà renderne poi conto agli uomini in questa vita, al Signore nell'altra.