Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/178

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Vanna mandò Titta per monsignore in seminario, sollecitandolo di favorirla.

— Monsignore - ella gli disse a occhi bassi, appena lo vide entrare nella sala. - Vorrei aprirle il mio cuore in confessione.

Egli chinò la testa in atto di assentimento.

— Il mio cuore trabocca di amarezza; ho bisogno di guida, bisogno di conforto.

— Sta bene - rispose monsignore - domani, finite le mie occupazioni, tornerò qui. Intanto lei si raccolga e mediti.

Vanna meditò, si raccolse, richiamandosi al pensiero le ore delle sue dolcezze, a una a una, odiando in sè la peccatrice, accusandosi, vilipendendosi con tanta maggiore indignazione quanto più il suo peccato le appariva tuttavia, nel ricordo, screziato di colori smaglianti.

Dio! Dio! Il Signore non avrebbe dunque avuto mai misericordia di lei? Stava di nuovo facendo l'esame di coscienza, inginocchiata al confessionale della sua cappella, quando monsignore entrò con passo lieve, si rivestì di una stola, togliendola dalla vetrina degli arredi e, dopo una piccola genuflessione, prese posto dietro l'inginocchiatoio collocato a sinistra dell'altare, e fatto in modo che una parete di legno s'innalzava a dividere la penitente genuflessa dal padre spirituale seduto.

Monsignore aprì il piccolo sportello infisso all'altezza del suo viso, e Vanna, che teneva la fronte celata nelle palme, sentì, attraverso la lamina