Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/288

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Ermanno ubbidì e una dolcezza meravigliosa lo avvolse, trasportandolo con Serena fuori del tempo.

— Vedi? - ella mormorò.

— Sì, vedo.

— Che cosa vedi?

— Tante lucciole.

— Anch'io! Sono grandi come stelle. Dio mio, com'è bello il mondo! È bello di giorno, è bello di notte! Io amo la terra, il cielo, tutte, tutte le cose! Ma non come zia Domirò! Io amo le cose per me, per la felicità che mi dànno, e quando noi due non ci fossimo più, non m'importerebbe che il mondo sparisse.

— Allora tu sei egoista - Ermanno le disse e, strano fatto, l'egoismo di Serena non gli apparve nè brutto nè biasimevole.

— Già, già, sono egoista - ella affermò con orgoglio -quando le cose non servono a te, non servono a me, io le trovo stupide e le disprezzo.

— Non vi basta ancora di chiacchierare, ragazzi? Vi guardavamo dal portico. Avrete fatto almeno cento giri. La signora Vanna rideva - disse Bindo Ranieri, guardandoli placido nella sua imperturbabile bonarietà, mentre Vanna, vedendoli tornare, continuava a ridere soavemente nella sua cecità incommensurabile.

Serena non era una donna; Serena era Serena, «madamigella grano di pepe», la farfallina del buon Dio; nè Ermanno era un uomo; era