Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/334

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era gelo, tutto si cristallizzava fuori di lui, dentro di lui. La fede nei dogmi era morta, uccisa dall'idea, e nessun'altra fede egli voleva che sorgesse nei campi devastati della sua coscienza. Una stanchezza irosa, una invincibile nausea lo stringevano da tre mesi; dal giorno in cui aveva voluto rientrare in seminario e farsi ordinare suddiacono. L'accidia sola dello spirito gli pareva desiderabile, perocchè l'accidia, come la ruggine, divora anche il metallo e riduce in polvere l'ordigno più saldo. Non pensare, girar la pietra della macina, simile a Sansone, cieco per opera dei filistei; ecco quanto egli voleva! Ma a Sansone cresceva la chioma, con la chioma il vigore, e nell'anima di Ermanno sorgeva il rimpianto, e col rimpianto il dolore. Ebbene, a somiglianza di Sansone, egli avrebbe sradicate colonne per ischiacciare sè e con sè i desiderî nemici.

Pericle Ardenzi gli disse, ridendo:

— Cosa trovi d'interessante nelle convulsioni di quegli alberi? Mira la mia barba invece! Sarà forse canuta quando la rivedrai.

Ermanno girò il capo e lo guardò.

— Hai l'aria di un funerale; sei ammalato di nuovo? - l'amico gli chiese.

— No, sto benissimo.

— Tanto meglio - e Pericle Ardenzi volle scrutare il cuore di Ermanno. - Mi tratterrò due giorni a Firenze. Desideri che io ti saluti il Perseo con relativa testolina di Medusa?

Ermanno finse di non capire.