Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/57

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ove sillaba non si cancella! La misera creatura, nata per la bontà e per la gioia, divenne tra quel fasto, quei canti, quelle pitture, malvagia contro sè stessa, e la fantasia, in lei così gioconda e schietta, si ottenebrò di terrori, ond'ella, abbandonata in ginocchio sui gradini marmorei dell'altare, imprecò alla vita, chiamandola insidiosa, imprecò alla carne, chiamandola abietta; alla carne, contro cui i santi del deserto avevano battagliato e che essi avevano domato con cilici e astinenze.

Un fruscìo leggero di vesti e l'effluvio sottilissimo di un profumo, l'avvertirono che la signora, così era chiamata di solito Vanna Monaldeschi, entrava nella cappella. Alzò il viso, già riconfortata, e sorrise a Vanna, che, dopo averle sorriso, prese posto sopra il suo inginocchiatoio gentilizio e si raccolse nella preghiera con signorile compostezza. La gonna di seta chiara si drappeggiava intorno all'inginocchiatoio e i due fermagli gemmati del libriccino d'avorio splendevano traverso le dita lunghe, guantate di bianco.

Domitilla Rosa cercò di Serena per dirle che poteva uscire, se era annoiata di rimanersene quieta, ma Serena era già uscita da molto tempo e si era messa alla ricerca di Ermanno, che aveva incontrato subito nella piazza, in compagnia di Titta, e adesso girellavano per la città, senza scopo, Ermanno abbigliato di velluto nero, col collare di pizzi antichi, simile a un duca del Rinascimento; Titta, in abito di parata, con un bizzarro cappello a staio, largo e piatto, con un panciotto