Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/85

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Bindo Ranieri si dilettava nell'ascoltare il linguaggio figurato di monsignore, giacchè egli, essendo pervenuto in seminario fino al corso di umanità, e avendo poi coltivato, senza affannarsi troppo, i suoi talenti, amava nei giorni domenicali le discussioni accademiche di politica e filosofia, esponendo con discrezione il risultato delle sue letture, sollecito ad abbandonare le opinioni proprie, quando l'interlocutore fosse a lui superiore per senno e per dottrina; ma, quando lo lasciavano parlare, egli parlava assai volentieri, con bella voce, bel gesto, arrotondando le parole, arrotondando le gote e concludendo sempre con umiltà gioviale:

— Forse, se avessi completati gli studi, non dico. Ma ecco la mia rovina; la causa di tutt'i miei danni - e accennava col pollice a Villa, che gli diceva ridendo:

— Per questo ti consumi e pesi ottanta chili.

Don Vitale taceva e divorava, preoccupato del modo di maneggiare la forchetta secondo le norme della buona creanza, perchè, nei regolamenti stampati pel venerabile Seminario vescovile di Orvieto, la buona creanza viene inculcata quasi ad ogni riga; eppure, con tutto il rispetto verso i regolamenti, don Vitale appena sorbito il caffè si mostrava irrequieto dimenandosi sopra la seggiola e grattandosi i ginocchi con le tozze dita, finchè Vanna, scambiata con monsignore un'occhiata di bontà ironica, diceva:

— Mandi Titta a prendere il violoncello, don Vitale; suoneremo insieme la Leggenda valacca.