Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/10

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Flora non aveva chiesto di sua madre; Leone non gliene aveva parlato; ma bastava che il padre e la figliuola si guardassero in volto, per leggersi a vicenda un pensiero acuto e costante. «Tornerà?» chiedevano gli occhi della giovanetta, col tremolìo delle pupille cerule, dove palpitava il raggio della speranza.

«No, non tornerà, non vuol tornare» rispondevano gli occhi accesi, dove la disperazione brillava di cupo lume.

E gli occhi di Flora si chinavano pensosi, quasi a scrutare un mistero; e gli occhi di Leone, marito innamorato e reietto, si avvallavano paurosi, quasi a fuggire uno spettacolo di vergogna.

Flora avrebbe potuto sapere, interrogando i coloni, ma un pudore invincibile la tratteneva e l'ignoto le appariva pieno di minaccia e di tristezza, pari alla oscurità di una notte senza stelle; pari al silenzio sconsolato di un cimitero, quando' la pioggia cade minuta sopra le lapidi da un chiuso cielo invernale.

Talora peraltro un lembo della verità le appariva, e ciò accadeva quando il nonno e il babbo avevano tra loro dispute brevi e impetuose, a proposito dell'assente.

— È una mala femmina! — diceva il vecchio alitando in volto al figliuolo tutto l'odio suo e tutto il suo disprezzo per la donna tolta dal fango in una follia di passione e che al fango era tornata determinatamente, ostinatamente.

— È mia moglie e io l'amo — rispondeva Leone, conficcando gli occhi negli occhi del padre, a sfidarne l'ira; egli, di solito, così timido e remissivo.

— Ti ha sciupato il tuo; ti ha lasciato nella miseria! — ruggiva il vecchio.