Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/191

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— Non tremi così, cara bambina, e non apra gli occhi con quell'aria spaventata. Il mio regalo non ha niente di mostruoso, glielo assicuro ·-- e svolse egli stesso l'oggetto dalla carta velina che lo ricopriva.

— Ecco, vede, è un agnellino di zucchero, un piccolo agnellino che le somiglia — e lo depose sul tavolo, guardando con soddisfazione ora la giovanetta, ora l'agnellino, che posava le quattro zampe sopra uno strato di zucchero pinto in verde, e teneva la testa volta all'indietro in atto timido. Nel dorso arrotondato di un tenue color di rosa, stava confitta l'asta dorata di una minuscola ban dierina di seta gialla.

Flora contemplava estatica il dono e, senza rendersene conto, aveva intrecciate le mani e ri maneva come in adorazione.

A un tratto strinse le dita, aggrottò la fronte, contrasse la bocca e, appuntando il mento sul petto, figgendo l'occhio sbarrato sopra la punta del suo piede, disse di un fiato, con accento af fannoso:

— Bisogna che lei mi dia quelle mille lire! L'onorevole la guardò inebetito.

Quali mille lire? — egli chiese. — Quelle, quelle, sì, quelle che io le devo do mandare — e alzò sul viso dell'onorevole gli oc chi con tale espressione di smarrimento, che egli comprese ed esclamò indignato: — O povera bambina, la obbligano a chieder mi del danaro adesso! Flora negò col capo vivamente. — No, no, io, sono io — ella balbettava con voce strozzata. — Andiamo, per carità, non dica sciocchezze,