Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/242

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nazione della signora, e Flora rimase nuovamente sola, in verità un pochino stordita da tutto quel via vai, che turbinava fra il cielo e la grondaia. Era un frullìo di ali, un gridio, un avvicendarsi di voli, un sovrapporsi di stridi, un affaccendarsi instancabile di creature alate, che adempivano, ebbre di gioia, ai loro doveri di massaie accorte e vigili, sempre in moto nel pensiero del nido, sempre al nido tornando con voci squillanti di tripudio.

Flora velò con le palpebre gli occhi, fortemente cerchiati, e rimase a interrogare se stessa, come in ascolto di una voce, che doveva salire dalle sue proprie viscere, annunziatrice di vita.

Le piccole mani, ancor più diafane, giacevano stanche sull'ampia veste di flanella bianca, e la flanella della veste era morbida, la seta del cu scino, su cui teneva riposata la gota pallida, era morbida, morbida la poltrona che l'abbracciava, morbida la curva stessa della sua persona, intur gidita ai fianchi, e morbida la sua stessa esistenza, che dopo sofferenze inaudite e una specie di ca taclisma in tutto il suo essere, dopo mesi di nausee, ripugnanze, vomiti, capogiri, si svolgeva adesso lenta e ritmica, con moto affaticato e tardo, ma trasfondendole un senso di dolcezza nuova, quasi di mistero che in lei si compisse e di cui le fasi venissero rivelate a lei minuto per minuto.

Talvolta era il sangue che le saliva con impeto al cervello, affocandole improvvisamente le gote; talvolta era il cuore che rallentava i suoi palpiti, dandole un senso di sospensione e di stupore; talvolta era il respiro che le moriva in gola, ob bligandola ad implorare aiuto; talvolta erano le gambe che le tremavano, e talvolta secreti bri-