Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/268

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Flora udiva un bisbigliar sommesso di voci, un tremolar di sospiri, un mormorio di baci, un gemere represso di singhiozzi; vedeva lembi di vesti svolazzare furtivi, al chiaror della luna, tra gli alberi annosi di un bosco, ovvero seguiva tre pida una damigella trascinante per mano, attra verso il labirinto di lunghi corridoi, un cavaliero bendato. E il cavaliero nascondeva la persona entro un fosco mantello e la guidatrice sosteneva con la destra una lucerna di argento.

Talvolta era un cozzar di spade presso qual che buio quadrivio.

Un cavaliere prestante ed eroico teneva fronte col valore prodigioso del braccio a torme di sicari appostati nell'ombra; una lettiga giaceva abbandonata poco discosto, e dalla lettiga si af facciava il viso stellante, per cui il cavaliere, dal feltro a larghe ali calato sulla faccia e dagli sti valoni flosci aprentesi a imbuto fin sopra il gi nocchio, si batteva contro la turba con disperato valore. Lo scalpitar di un cavallo risuonava nella notte sinistramente, apportatore, con la rapidità del baleno, di messaggi di morte, e il bagliore delle faci rischiarava ad un tratto il suolo coperto di sangue.

Flora chiudeva gli occhi un momento per non vedere la carneficina; ma rimontava bentosto in groppa della sua chimera, per galoppar senza freno dietro fantastiche avventure di armi e di amori.

L'eroina sua prediletta era la duchessa della Vallière. Luigia era bionda, era timida, forse le somigliava. Flora s'identificava tanto con la sen timentale cortigiana da struggersi di vera pas sione per Luigi XIV; e quando, proprio nel punto