Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/274

Da Wikisource.

petto ricadeva in molli pieghe. Era incantevole

e deliziosa, un vero gioiello da custodirsi come

una reliquia; ma non era più la Flora della casa

bianca, la Flora amata da lui forsennatamente e

per la quale aveva sofferto tante pene.

Germano non era altrettanto cambiato. Le spalle

più solide, i capelli più ravviati, i baffi assai più

folti, qualche cosa di più disinvolto, quasi di bru

tale, nelle maniere, ed ecco tutto; ma Flora, guar

dandolo, paragonava il signore tranquillo che le

parlava di Balbina con tanta orgogliosa soddisfa

zione, al giovane disperato, che ella, undici anni

prima, aveva veduto fuggire sotto la pioggia,

come perseguito da una maledizione, e si sentiva

offesa dal contegno di lui.

Il ricordo di Germano era stato per lei, du

rante tanti anni, come un solido castello entro

cui si rifugiava spesso nel disdegno del pre

sente, ed ecco che il castello crollava di schianto,

sollevando nuvoli di polvere. Migliaia di volte

ella si era finto nel pensiero un improvviso in

contro con Germano, e sempre la fantasia accom

pagnava tale incontro chimerico di catastrofiche

circostanze, e invece la realtà non aveva nulla

di apocalittico. Germano stava li, vicino a lei, si

guardavano, si parlavano, e il sole non si oscu

rava per questo, nè il mondo piombava nel caos per così poco.

— Come si cambia! — esclamò Germano, quasi suo malgrado.

,

— Oh! sì, molto si cambia — mormorò Flora, e un sospiro profondo di rammarico le uscì dal petto.

Quel sospiro trovò eco immediata nel cuore di Germano, che sospirò anche lui.