Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/290

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Nell'antro oscuro e tetro la roccia aveva l'aspetto di un titano, che allungate ed aperte le quattro estremità gigantesche, avesse tentato scalare il cielo e a castigo della sua oltracotanza, fosse stato condannato a restare in eterno confitto nelle viscere della montagna stessa, di cui aveva osato farsi sgabello per l'ascensione sacrilega.

Le membra rugose stavano immote da secoli, ma la gola del mostro urlava il proprio spasimo col fragore di mille latrati furibondi. L'acqua, uscente dalle ampie fauci spalancate, cadeva nel vuoto, si frangeva contorcendosi, precipitava rom bando e sembrava che le pareti dell'antro fossero di vuoto rame e che braccia instancabili picchias sero ivi con poderosi martelli.

Flora protendeva il busto ed avanzava il capo, attratta da un fascino arcano.

La paura la stringeva, l'umidità del luogo le avvolgeva le spalle di un manto diacciato, pic coli soffi gelidi le s'infiltravano dentro i capelli e, tra lo scatenamento degli urli, discerneva come il bisbiglio di una voce che volesse metterla a parte di qualche terribile secreto.

Che cosa c'era mai di comune fra lei e la gola lacerata del mostro urlante?

La pioggia minuta degli spruzzi le trasfondeva un gelo di morte nelle vene, quando una cor rente calda le scese dalla nuca sul collo e le sfiorì) il volto, facendola brividire deliziosamente.

Si volse, liberata daU'incubo, e scorse Germano che le stava alle spalle e che le alitava fra i ca pelli tutto il fuoco della sua passione.

Si fissarono con pupille aguzze ed ebbero en trambi un leggero sussulto. La gioia del guar-