Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/337

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diventa sempre più larga, sempre più fonda, ogni palata di terra che si scava rappresenta un attimo di vita che se ne va e il prigioniero, abbrutito dal sentimento della propria impotenza, contempla l'opera crudele con occhio ebete, ed ha bisogno di scuotere le sue catene per assicurarsi di vivere ancora.

Quando riusciva finalmente a trovarsi sola con Germano, si avviticchiava a lui come un nau frago.

— Taci, taci — ella gli diceva — non par larmi. Baciami, stringimi forte.

Egli la baciava con impeto, e Flora non si sentiva contenta finché le imposte non fossero chiuse, finché la più completa oscurità non re gnasse nella stanza.

Allora abbandonava l'esile persona sul petto ampio di lui e gli bagnava il volto di lacrime, mentre i sospiri ardenti della sua bocca convulsa morivano sopra la gota di Germano.

— Perchè piangi così? — egli le domandava. — Taci — ripeteva Flora perdutamente. — Abbracciami, baciami, non parlare. Una volta che egli insistette per conoscere la ragione di quelle lacrime, Flora ebbe una crisi che lo fece pensare ad un accesso di pazzia. — Piango perchè tu sei morto e io voglio farti rivivere almeno per un momento. Ma non ci riesco, no, non ci riesco. Egli, sentendo che i singhiozzi stavano per sof focarla, corse a spalancare la finestra. Generalmente la luce la faceva tornare in sé; ella guardava allora l'amante con occhio mesto c pietoso come si guarda appunto l'effigie di un caro defunto, e ascoltava distratta i discorsi di