Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/34

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Oh! la gioia ansiosa di quei fragranti pomeriggi quando a lei pareva di volare, andando dalla casa bianca alla bianca chiesuola per la via maestra, fiancheggiata dai rami penduli del biancospino. E l’aria, maliziosamente giuliva, faceva oscillare in atto scherzoso le spighe ancora verdi, e le case della città di Pesaro, adagiate in lontananza presso l’Adriatico, somigliavano a cigni usciti dall’onda per offrire le ali aperte ed immote all’aurata blandizia del sole primaverile; e il mare brillava come uno specchio all’estremo limite dell’orizzonte, e in larghi sinuosi giri le collinette si allargavano coi declivi ammantati di verde, con le cime piamente incoronate di ulivi, mentre vicino, più vicino, le foglie dei gelsi rilucevano e coppie di farfalle volteggiavano in tenui danze, facendo rapida sosta or sui fili del l’erba presso il margine della via, ora sui petali di qualche fiore silvestre. Ed ella arrivava nella chiesuola, s’inginocchiava presso l’altare, balbettava parole confuse all’immagine e rimaneva palpitante, turbata, felice e timida, agitata dai so spiri, la pupilla natante nell’estasi, timorosa di venire sorpresa dall’altrui sguardo, provando nelle vene il fermento di tutte le tentazioni del maggio fecondatore.

Verso quell’epoca l’avevano chiusa in convento e Flora, per alcun tempo, aveva pianto secrete lacrime, pensando alla radiosa immagine che, tra i lumi seguitava, lei assente, a diffondere la soavità del mite occhio ceruleo sui fedeli proni lungo la navata disadorna della chiesa campestre; poscia la giovanetta era stata improvvisamente presa d’amore per la maestra di ricamo, una suora trentenne dal viso pallido e fine, sulla cui delicata