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Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/38

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e nevosa, ebbe forse il presentimento dell’oscurità che si addensava dietro le spalle del nonno, perchè lasciò cadersi sulle ginocchia il volume e guardò intorno a sè attentamente, quasi a scrutare ogni angolo. La vasta cucina era silenziosa: il fuoco nel cantino languiva e i due ceppi laterali si erano orlati circolarmente di cenere, serbando solo nel centro un’accesa chiazza.

La giovanetta si passò a più riprese la mano sugli occhi, poi s’immerse di nuovo nella lettura del libro, narrante le centomila astuzie del demonio per indurre alla perdizione ora un pio anacoreta macerato dai digiuni, ora un santo monaco, di cui la carne sanguinava per il cilicio. Le gherminelle dello spirito maligno erano inesauribili. Talvolta il demonio si trasformava, presso lo speco dell’anacoreta, in lussureggiante cespuglio di rose aulentissime e l’odore di esse infiltravasi per tutte le vene del penitente con sottile magìa; ma l’anacoreta spruzzava di acqua benedetta il cespuglio, e le rose putivano ed il cespuglio cadeva al suolo incenerito, e una be stia, dalle grandi corna, spariva, urlando di dolore, nello spazio. Talvolta il demonio si trasformava in vasello d’unguento aromatico, che il monaco si trovava sottomano nel punto che più le carni gli doloravano livide e sanguinanti. L’unguento era così tenue in vista, così bianco e odoroso, che il monaco mal resisteva alla tentazione di ungerne le piaghe del suo corpo; ma l’Angelo Custode scendeva in suo soccorso, il monaco faceva tre volte il segno della croce sul vasello e l’unguento ardeva subito di una fiammella azzurrognola, e dalla fiammella usciva un demonio dalle membra contorte che andava im-