Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/81

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di esse con tale parsimonia, che una lettera di quattro pagine bastava a tenerle compagnia per intere giornate. Anzitutto bisognava decifrarne la calligrafia tozza e tonda; poi comprendere il senso delle parole; poi misurare la portata delle frasi; poi paragonare l'ultima lettera con le precedenti, per vedere se ci fosse nulla di cambiato nel modo di esprimersi di Germano; poi contare quante volte fosse scritto il nome di Flora; poi, finalmente, chiudere gli occhi per ripetersi a fior di labbra le amorose parole e le appassionate invocazioni.

Anche sua madre le scriveva, ma le lettere di Adriana erano diventate rare, laconiche, chiuse in buste, di una squisita tinta violacea, con una leggerissima filettatura aurata. Dai primi di luglio Adriana non iscriveva più da Roma, di dove nell'estate fuggivano tutte le persone ragguardevoli, compreso l'onorevole Montefalco, il caro amico previdente e provvidente, il quale aveva voluto che Adriana si recasse al mare, poscia a Vallombrosa.

Adriana era delicatissima di salute; il morale di lei era rimasto terribilmente scosso per la tragica fine dell'indimenticabile marito, e l'onorevole Montefalco non nascondeva le sue gravi preoccupazioni in proposito.

Durante la malattia di Flora erano giunti saltuariamente alcuni telegrammi, che dovevano essere stati redatti in modo affrettato, tra l'ora del bagno e quella della colazione. L'ultimo di essi, con risposta pagata, era concepito così:

«Vivo per te in tremendissime ansie. Parto fra un'ora per una gita di piacere a Venezia. Dammi notizie. Guarisci».