Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/86

Da Wikisource.

mente; ma vedersi Germano annichilito davanti, con la giovane persona sbattuta dall'impeto del pianto, la inquietava e la rapiva di gioia ad un tempo.

— Germano! Germano! — ella ripeteva, sfio randogli con la punta delle dita i capelli — Ger mano, non piangere così. Alzati, Germano, alzati!

Egli, sempre ginocchioni, sempre con la fronte piegata, accennava di no col capo, e i singhiozzi seguitavano a scuotergli le spalle con sussulti rari e profondi, quasi sradicati con uno strappo dalle più secrete làtèbre dell'anima.

— Basta, Germano — implorava Flora, stretta alla gola dal contagio del pianto. — Basta, mi fai male --- e poiché la convalescente si chinava verso di lui soavemente pietosa, il giovane le prese le mani con atto devoto, in esse nascose la faccia e in esse versò, con le lacrime onde le gote erano cosparse, tutte le brutture di quei tre mesi.

Il vecchio conte era rimasto immobile nel cen tro della sala e annaspava con le dita a guisa di chi, avvolto nell'oscurità, cerchi e non trovi a tentoni il consueto punto d'appoggio.

Germano e Flora avvertirono lo smarrimento del conte e si sorrisero dolcemente, guardandosi negli occhi, come si sorridono due sposi inna morati ai pavidi vezzi del loro unico fantolino. Germano sostenne energico, col braccio destro, il greve corpo vacillante del vecchio, sorresse coll'altro la persona lieve della giovanetta, e, così uniti, procedettero adagio verso la finestra, di dove i campi apparivano di un colore di rosa morta per il riflesso del blando rossore onde il cielo, ad occidente, era soffuso.