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118 IL TORRISMONDO

Che non sarà mortal sì duro colpo.
Ma invan sperò; perchè l’estremo spirto
Nella bocca di lui spirava, e disse:
O mio più che fratello, e più ch’amato,
Esser questo non può; chè morte adombra,
Già le mie luci.
Dappoich’ella fu morta, il Re sospeso
Stette per breve spazio: muto, e mesto
Dalla pietate, e dall’orror confuso,
Il suo dolor premea nel cor profondo.
Poi disse: Alvida, tu sei morta; io vivo
Senza l’anima? e tacque.
E scrisse questa lettra, e la mi porse,
Dicendo: Porteraila al Re Germondo,
E quanto avrai di me sentito, e visto,
Tutto gli narra, e scusa il nostro fallo.
Così disse. E mentr’io pensoso attendo,
Dal suo fianco sinistro ei prese il ferro,
E si trafisse colla destra il petto,
Senza parlar, senza mutàr sembianza,
Pur come fosse lieto in far vendetta.
Io gridai, corsi, presi ’l braccio indarno,
Non anco debil fatto. Ei mi respinse
Con quel valor, che non ha pari al mondo,
Dicendo: Amico, al mio voler t’acqueta,
E nella tua fortuna. A te morendo
Lascio il più caro officio, e ’l più lodato,
Un Signor più felice, un Re più degno,
E la memoria mia;
Ch’ognun la cara vita altrui può torre,
Ma la morte nessuno.