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130 TRAGEDIA NON FINITA
Nol nego, ma so ben quel, ch’io desio:

Quel, ch’io tema, non so. Tem’ombre, o sogni,
E un non so che d’orrendo, e d’infelice,
Ch’un dolente pensiero a me figura
Confusamente. Oimè! giammai non chiudo
Queste luci meschine in breve sonno,
Ch’a me forme d’orrore, e di spavento
Non appresenti il sonno: ora mi sembra,
Che dal mio fianco sia rapito a forza
Il caro sposo, e scompagnata e sola
Irne per lunga, e tenebrosa strada,
Ed or sudar, e gocciolar le mura
D’atro sangue rimiro: e quanti lessi
Mai nelle istorie, o in favolose carte
Miseri avvenimenti, e sozzi amori,
Tutti s’offrono a me. Fedra, e Giocasta,
Gl’interrotti riposi a me perturba:
Agita me Canace, e spesso parmi
Ferro nudo veder, e colla penna
Sparger sangue, ed inchiostro; onde s’io fuggo
Il sonno, e la quiete, anzi la guerra
De’ notturni fantasmi; e s’anzi tempo
Sorgo del letto ad incontrar l’Aurora,
Maraviglia non è, cara nutrice.
Lassa me! simil sono a quell’inferma,
Cui la notte il rigor del freddo scote,
E ’n sul mattin d’ardente febbre avvampa;
Perocchè non sì tosto il freddo cessa
Del notturno timor, che in me succede
L’amoroso desio, che m’arde, e strugge.
Ben sai tu, mia fedel, ch’il primo giorno,
Che Galealto agli occhi miei s’offerse,
E che sepp’io, che dal suo nobil regno
Della Norvegia era venuto al regno
Di mio padre in Suezia, egli medesmo
A richiedermi in moglie, io mi compiacqui
Molto del suo magnanimo sembiante,
E di quella virtù per fama illustre,
Sempre cara per sè, ma viepiù cara,
S’ella viene in bel corpo, e se fiorisce
Col verde fior di giovinetta etade:
E sì di quel piacer presa restai,
Ch’il mio desir prontissimo precorse