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132 TRAGEDIA NON FINITA
Nutrice Alvida, anima mia, siccome folle

Mi sembra il tuo timor, ch’altro soggetto
Non ha, che d’ombre, e sogni, a cui s’uom crede,
Più degl’istessi sogni è lieve, e vano:
Così giusta cagion parmi che tarda
D’amoroso desio; chè giovanetta,
Che per giovane sposo in cor non senta
Qualche fiamma d’amor, è più gelata,
Che dura neve in rigid’alpe il verno;
Ma donnesca onestà temprar dovrebbe
La tua soverchia arsura, e dentro al seno
Chiuderla sì, che fuor non apparisse;
Chè non conviene a giovane pudica
Farsi incontro al desio del caro sposo;
Ma gl’inviti d’amor attender deve
In guisa tal, che schiva, e non ritrosa
Sen mostri, e dolcemente a sè l’alletti
Coll’onesto rossor, più che co’ vezzi.
Frena, figlia, il desio, che breve omai
Esser puote l’indugio: e sol s’attende
Il magnanimo Re de’ Goti alteri,
Che viene ad onorar le regie nozze.
Avida Sollo: e questa tardanza anco molesta
M’è, per la sua cagion. Non posso io dunque
Premer il letto marital, se prima
Non vien fin dal suo regno il Re de’ Goti?
Forse perch’egli è del mio sangue amico?
Nutrice Amico è del tuo sposo: e dee la moglie
Amar, e disamar non col suo affetto,
Ma coll’affetto sol del suo consorte.
Alvida Siasi, come a te par: a te concedo
Questo assai facilmente: a me fia lieve
D’ogni piacer di lui far mio piacere.
Così potess’io pur qualche favilla
Smorzar delle mie fiamme, od a lui tanto
Piacer, ch’egli sentisse ugual ardore.
Lassa! ch’invan ciò bramò. Egli mi sembra
Vago di me non già, ma di me schivo;
Perchè da quella notte, in cui di furto
Godette del mio amore, a me dimostro
Non ha di sposo più segni, o d’amante.
Non dolce bacio nel mio volto impresso:
Non pur giunta la sua colla mia mano: